Museo dell'Ombrello e del Parasole
28040 Gignese (Verbania)
tel. 0323/20067
orari:
10.00/12.00 -15.00/18.00
chiuso lunedì
Website del Museo dell'Ombrello e il Parasole
L'ombrello sarà anche un accessorio banale, ma ha origini lontane. Fu infatti inventato nella Cina di cinquemila anni fa e utilizzato come "tetto ambulante" che veniva tenuto sulla testa di imperatori e sacerdoti come simbolo religioso e di potere.
Antichi rilievi assiri conservano l'immagine del re in corteo, pitture etrusche riproducono personaggi riparati sotto un ombrello; in Grecia, attributo delle divinità, veniva portato nelle processioni dedicate agli dei; sopravvissuto nell'uso liturgico della Chiesa, soltanto nel XV secolo lo si recuperò come riparo dalla pioggia o dal sole.
Da qusto si riparavano, in Francia, le dame del XVII secolo, che proteggevano il candore del loro incarnato con vezzosi parasole ricamati che tenevano in ombra il volto. Naturalmente si trattava di attenzioni che solo le dame potevano esigere.
Finché qualcuno scoprì che l'ombrello poteva anche riparare dalla pioggia: fu da quel momento che ebbe inizio la sua grande diffusione ed iniziò anche la fortuna di questo piccolo paese, Gignese, situato sulla costa settentrionale del Lago Maggiore, e - a quanto sembra - patria riconosciuta dell'arte degli ombrellai italiani. Tutto ebbe inizio alla fine del XVIII secolo quando alcuni ombrellai francesi si fermarono a Gignese.
La gente del luogo, pastori e commercianti in fil di ferro, intuì subito la potenziale redditività del mestiere: in poco tempo apprese l'arte e cominciò a praticarla con profitto in ogni parte del mondo, a Parigi, in America, Sud America e in Australia. Tutti comunque appresero a riparare, costruire o vendere ombrelli. Ormai può considerarsi una sorta di vocazione collettiva, che giustifica anche la presenza di questo museo.
L'ideatore è stato, nel 1938, Igino Ambrosini, mosso dal desiderio di rendere omaggio ai suoi genitori, tutti e due ombrellai. Da allora il museo, costruito in modo da ricordare la forma di un ombrello, è rimasto sempre nella stessa sede ed oggi vi si possono vedere ben millecinquecento pezzi tra ombrelli e parasoli.
I più preziosi sono esposti aperti in una serie di vetrine. Ecco l'ombrello veneziano in damasco rosso, con ricami d'oro, che accompagnava il Doge durante le cerimonie più importanti; al Settecento appartengono fini ombrelli con manici in avorio intagliato e tessuto di toulle in tre strati; i parasole delle signore di cento anni fa, il parapioggia di Giuseppe Mazzini, gli ombrelli cinesi dai disegni e dai colori incantevoli.
Non manca la produzione completa delle fabbriche di Como, Genova. Napoli, Lucca, e infine, l'ombrello "sartoriale" di Christian Dior, datato 1947. L'ombrello si compone tuttavia anche del manico, che ha stimolato la creatività degli artigiani.
Nelle due sale dell'esposizione si trovano infatti impugnature in tartaruga lavorata, con stecche e fusti ricavati da denti di balena, manici in legni rari, in madrcperla, in avorio, in osso, in oro, in argento.
Ma Gignese, nel suo museo, rievoca anche la vita di stenti dei suoi tanti ombrellai vagabondi.
Fotografie, documenti, testimonianze diverse raccontano di vite legate a un temporale; vi è conservato anche un dizionario enciclopedico di "tarusc",il gergo, a metà dialetto, a metà lingua franca usato dagli ombrellai dispersi per il mondo.
Tra le tante parole una serviva ad indicare sfi altri, i "non ombrellai".La collezione del museo non si esaurisce con gli ombrelli e custodisce anche un ricco assortimento di bastoni. In tre bacheche è sintetizzata la produzione di due secoli, il Sette e l'Ottocento.
L’unico elemento certo è la provenienza non occidentale: la Cina, l’India e l’Egitto si proclamano infatti paese-culla del parasole, ciascuno con motivazioni più che valide.
Queste "rivendicazioni" ci permettono di aggiungere un altro dato sicuro ad una storia priva di certezze: l’ombrello è, fin dal suo apparire, collegato alla rappresentazione simbolica del potere, quando non, addirittura, attributo della divinità.
Fin dal XII secolo a.C., l’ombrello cerimoniale apparteneva alle insegne dell’Imperatore della Cina e tale rimase per circa trentadue secoli, fino alla scomparsa del Celeste Impero.
All’incirca nello stesso periodo, i re persiani potevano, unici tra i mortali, ripararsi dal sole per mezzo di un ombrello, sorretto da qualche dignitario; più democraticamente in Egitto si concedeva tale privilegio a tutte le persone di nobile origine. In questo paese nasce, forse, il mito più bello, la più profonda simbologia legata all’ombrello: la dea Nut era spesso rappresentate in forma di parasole, con il corpo arcuato a coprire la terra, in atto di protezione e di amore.
Il forte significato di status symbol come prerogativa regale, o comunque di potere, assunto dall’ombrello, spiega la sua contemporanea comparsa nell’immaginario religioso.
Come in Egitto, anche in India viene associato alle dee della fertilità e del raccolto o, in senso più lato, della morte e della rinascita: nella sua quinta reincarnazione, Vishnu aveva riportato dagli Inferi l’ombrello, dispensatore di pioggia.
Alla sfera del mito dobbiamo l’introduzione nel mondo occidentale del nostro accessorio, che compare in Grecia legandosi al culto di Dionisio (un dio di probabile origine indiana), ma anche di dee come Pallade e Persefone, che tra i loro fedeli contavano soprattutto donne.
Sono le donne che, nelle feste dedicate a queste divinità, si riparano in loro onore con un parasole, passato nel III secolo a.C. anche nel mondo romano, dove viene descritto dai poeti come delicato e prezioso oggetto in mani femminili. Sembrerebbe quindi di avere delineato una storia completa: da simbolo di potere, umano e divino, a oggetto di lusso e di seduzione.
Eppure, tra i tanti valori e segni di civiltà cancellati dalla scomparsa dell’Impero romani, ci fu anche l’ombrello, di cui non rimase traccia nei "secoli bui", se non per la sua sopravvivenza nel culto cattolico, inizialmente come insegna pontificale, poi nell’uso liturgico.
Totalmente sconosciuta all’antichità fu perciò la principale funzione utilitaria dell’ombrello, quella di parapioggia. Mantelli, cappucci e cappelli di pelle risolsero il problema della pioggia nel mondo classico ed in quello medievale.
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A Torino, a contatto con ambulanti francesi avvenne la scoperta di una nuova possibilità: la riparazione e la costruzione di ombrelli. L'apprendista, un ragazzino di sette, otto anni, il giorno di Capodanno, sulla piazza di Carpugnino, veniva affidato dai genitori agli artigiani ambulanti, sperando che avrebbe imparato un mestiere. "Al prumm dal lungon a Carpignin, a truà l' Casér senza an bergnin". "Il primo dell'anno a Carpugnino, a cercar padrone, senza un soldino" recita l'epigrafe posta nella piazza di Carpugnino.
Molti fecero fortuna e molti vissero una vita fatta di separazione dalla famiglia, di notte nei fienili, di freddo e fame. Il padrone provvedeva in tutto all'apprendista che al grido di "Ombrele!.. Ombrelé!" imparava a riparare e a costruire un ombrello. A ritorno a casa, a Natale, come compenso, se il ragazzo era stato volenteroso e si era dimostrato abile, un paio di scarpe e un ombrello di seta Gloria e poi di nuovo in giro Il tarusc, gergo comune grazie all'omogeneità di provenienza della categoria, permetteva una comunicazione rapida e segreta tra ambulanti che potevano davanti all'ingenuo utente scambiare notizie e commentare nella certezza di non essere capiti.
Il gergo dimostra la duttilità degli ombrellai nell'arricchire il dialetto con voci provenienti dal tedesco, dal francese, dallo spagnolo, ma soprattutto, l'arguzia di uomini che spesso poteva vantare un solo anno di scuola. Ad esempio l'avvocato è "denciòn" ed il cuoco è "brusapignat".
In entrambi termini c'è la diffidenza per professioni che vengono sentiti estranee alla propria mentalità e, nel caso dell'avvocato, anche ostili. L'avvocato affonda i lunghi denti nelle misere sostanze dei poveretti che ricorrono a lui e il cuoco, nei migliori dei casi, brucia le pentole.
L'Ombrello "Pieghevole o Tascabile": l'Invenzione di Monsieur Marius.
Solo una nuova funzionalità, questa volta tutta coniugata al femminile,lo inserirà nel sistema capace di trasformare un oggetto di lusso in oggetto di consumo: il sistema-moda. Come accessorio di moda,la prima comparsa dell'ombrello riguarda la Francia di Luigi XIV, anche se l'uso rimase allora ristretto all'ambiente della Corte.
In un figurino pubblicato intorno al 1670, per opera dell'incisore J.D.de Saint Jean, è raffigurata una dama a passeggio, che sorregge un ampio Parasole di foggia orientale, ornato da una ricca frangia.
Alla corte del Re Sole, le passeggiate nel giardino di Versailles o negli altri parchi reali,erano molto graditi al Sovrano, e questo può avere determinato l'abbandono dell'ombrello-Status Symbol, sorretto dal servitore o dal negretto, e la sua assunzione tra le componenti dell'abbigliamento di Corte.
Come ogni altra moda europea,anche questa non poteva non affermarsi in Francia: anzi, è proprio qui che nel 1709 un Monsieur Marius inventa un ombrello pieghevole,o "Tascabile",come informa il suo biglietto pubblicitario, oggi conservato al Museo di Nottingham, in cui sono raffigurati una dama e un cavaliere ambedue con ombrello.
Il nome di questo pioniere dell'industria dell'ombrello, Marius lo farebbe quasi ritenere di origine Italiana. L'ipotesi non è troppo azzardata, perché le prime testimonianze sull'uso di questo accessorio sembrano riguardare proprio il nostro paese. Con una curiosa precisazione, perché tutte quante si riferiscono ad un impiego maschile,e di uomini a cavallo.
Del resto, a che serve un cuoco a chi mangia un pezzo di pane e formaggio, se c'è? Alcune, però, fecero fortuna a Milano, Torino, Venezia, Locarno, Roma, Napoli, Bari, New York , San Francisco, Sidney.
Igino Ambrosini ricorda ben 180 dinastie ombrellaie originarie di Gignese e delle zone circostanti ma, per la verità, si devono citare anche quelle del Cusio e del Lago di Como.Sarebbe ingeneroso nominare solo alcuni dei personaggi che hanno diffuso l'arte ombrellaia nel mondo: basti dire che l'artigianato è diventato un'industria, purtroppo minacciata dalla dozzinale produzione dei paesi orientali, ma i più eleganti, i meglio rifiniti, i più alla moda tra gli ombrelli sono ancora e sempre gli ombrelli italiani